mamma e bambino

Orientamento, rete, ascolto: tutelare la salute della donna nell’emergenza Covid-19

22 Aprile 2020

L’emergenza legata all’epidemia globale di Covid-19 occupa ormai da molte settimane lo spazio del discorso pubblico sulla sfera sanitaria, in Italia e nel mondo. Oggi, nella giornata nazionale dedicata alla salute della donna, vorremmo condividere con voi alcune riflessioni e testimonianze delle nostre operatrici sugli effetti di questa emergenza sull’accesso alle cure materno-infantili, con uno sguardo particolare alle fasce più fragili e marginalizzate.

Limitazioni o interruzioni nell’erogazione di prestazioni sanitarie previste dal nostro sistema sanitario nazionale; informazioni confuse sugli effetti del Covid-19 sulla salute di donne in gravidanza, neo-mamme e neonati; effetti delle misure di distanziamento sociale su neo-mamme già a rischio di isolamento, professionisti e servizi assorbiti dalle azioni necessarie a contrastare l’emergenza Covid-19: ecco in sintesi le principali criticità che le nostre operatrici hanno rilevato continuando a seguire e a orientare a distanza le donne che partecipano ai nostri progetti. Annullati gli incontri di gruppo e sospesi i servizi diretti, restano le telefonate e le app di messaggistica per scambiarsi informazioni, monitorare condizioni socio-sanitarie o psicologiche, fare da ponte con strutture sanitarie in affanno o prestare ascolto a preoccupazioni, ansie, malessere psicologico.

Valentina, ostetrica che collabora con noi per il progetto We Can, ci racconta ad esempio la storia di Hannah, una donna di origini nigeriane: “Tra le donne che stavamo seguendo prima del lockdown, Hannah era quella più prossima al parto. A causa delle misure di contenimento dell’epidemia di Covid-19 si è vista cancellare l’appuntamento con il ginecologo che la seguiva presso l’ospedale dove avrebbe partorito, perciò nessuno le ha letto i referti degli ultimi esami e accertamenti. Le chiediamo di inviarci i referti tramite foto e, constatata la presenza di alcuni valori anomali, contattiamo la coordinatrice ostetrica della struttura ospedaliera che la seguiva. Hannah deve recarsi subito in pronto soccorso, sarà probabile un ricovero, cosa che puntualmente avviene. A questo punto in ospedale inizia per la donna un calvario: l’ansia per il parto imminente, poi svoltosi senza grossi problemi; la preoccupazione per una sopraggiunta infezione respiratoria e la difficoltà di capire le ragioni dell’isolamento imposto dai nuovi protocolli per l’accertamento di un’eventuale infezione da Covid-19 (poi per fortuna scongiurata); l’impossibilità di stare accanto al bambino, ricoverato in terapia intensiva a causa di una comune infezione neonatale. Ansie e timori aggravati da barriere linguistiche, che rendono difficile per Hannah comprendere a pieno cosa stesse accadendo a lei e al suo bambino, e socio-culturali, che alimentano nella donna la paura che qualcuno voglia ‘portarle via’ il piccolo. Ascoltarla, parlare con lei, fare da ponte con medici e infermieri, orientarla al disbrigo delle pratiche burocratiche successive alla nascita: solo così è stato possibile contenere le ansie di Hannah”.

Valentina ci parla anche di Pryianka, un’altra giovane di origini srilankesi che seguiamo con il progetto We CAN, anche lei quasi al termine della gravidanza prima della chiusura dei servizi. “La donna avrebbe dovuto prendere contatto con il punto nascita scelto per il parto, effettuare una visita di controllo e avviare le cardiotocografie, i monitoraggi eseguiti a cadenza settimanale per valutare il benessere fetale e la presenza di contrazioni. In consultorio però Pryianka ha appreso che queste attività in ospedale erano momentaneamente sospese, senza ricevere ulteriori informazioni. Con la data del parto sempre più vicina, siamo intervenute contattando direttamente il punto nascita prescelto e chiedendo informazioni sui protocolli che vengono adottati in questo momento per le donne al termine della gravidanza. Solo così siamo riusciti a sapere che la donna può recarsi in ospedale per eseguire i monitoraggi ambulatorialmente”.

Brunella, assistente sociale per il progetto We CAN, ci racconta invece di essere stata contattata dal ginecologo di Elly, una donna nigeriana alla 28a settimana di gravidanza. Il medico era preoccupato del fatto che la donna si fosse presentata alla visita senza aver ritirato gli esami del sangue effettuati presso una struttura ospedaliera della provincia di Caserta. Elly però non aveva mostrato incuria: si era effettivamente presentata in ospedale per ritirare il referto, senza però riceverlo. A partire da quel giorno non era stato più possibile mettersi in contatto telefonico con il laboratorio in cui erano state fatte le analisi: dal centralino la nostra opertrice ha appreso che, a causa dell’emergenza Covid-19, quel laboratorio è stato temporaneamente chiuso. “In molti casi, come quello di Elly, sono state le stesse strutture ospedaliere o ambulatoriali a contattarci per chiederci un supporto nel contattare donne che seguiamo direttamente” – aggiunge l’assistente sociale, che coordina inoltre il progetto Fiocchi in Ospedale al Cardarelli – “ad esempio, l’ambulatorio di follow-up del Cardarelli ci ha chiesto di collaborare per contattare alcune mamme che avrebbero dovuto effettuare la prima visita post-dimissioni, un’importante prestazione di continuità assistenziale al momento sospesa a causa dell’emergenza Covid-19”.

L’area di cui sono referente” – ha aggiunto Arianna Russo, responsabile dell’Area Nascita e Maternità di Pianoterra – “ha rappresentato, con le sue varie progettazioni, un importante presidio per stare accanto, seppure a distanza, a donne che si sono ritrovate a vivere gli ultimi giorni di gravidanza, il parto e i giorni successivi in piena emergenza Covid-19. L’attività di orientamento, preziosa soprattutto per donne di origine straniera che già normalmente fanno fatica a districarsi tra adempimenti burocratici, visite e referti da ritirare ed esibire, è stata il cardine di tutti i nostri interventi in questo periodo. Si tratta di un’attività resa possibile esclusivamente grazie alla fitta rete di contatti e collaborazioni costruita nel corso di questi anni con strutture sanitarie, servizi alla famiglia e altri enti del terzo settore. In molti casi è stato necessario affiancare le donne nel disbrigo di pratiche o prenotazioni connesse all’accesso agli ambulatori ospedalieri e territoriali o al ritiro di referti medici, e questo ci ha posto a strettissimo contatto con il personale medico e infermieristico dell’ospedale Cardarelli, ma anche di altri ospedali della città: l’A.O.U. Luigi Vanvitelli, il San Paolo, il Santobono. Gli ambulatori di Emergency a Castel Volturno e Ponticelli sono poi sponde importanti quando è impossibile accedere a prestazioni mediche in ospedale e, ancora, il servizio di mediazione linguistico-culturale offerto da Emergency e dalla Cooperativa sociale Dedalus è stato preziosissimo nel sostegno a distanza a donne di origine straniera”.

Un’ultima testimonianza riguarda gli effetti che le misure di isolamento sociale possono avere sulle condizioni psicologiche di una neo-mamma al momento del rientro a casa dall’ospedale, effetti apparentemente meno urgenti ma non meno importanti. Organizzare la nostra vita con un neonato rispettando l’obbligo di distanziamento sociale, di restare a casa, di evitare assembramenti all’esterno, di ricevere o fare visite, può essere fonte di ulteriore stress. Queste norme, con le quali probabilmente dovremo convivere ancora per diverse settimane, colpiscono le fasce di popolazione più sensibili ed esposte all’isolamento, tra cui spiccano proprio le neo-mamme che fino a poche settimane fa potevano contare su una rete familiare e amicale fatta di scambi, incontri e confronti per affrontare il puerperio e i primi mesi di vita del bambino. Ecco cosa ci racconta a tale proposito Daniela, la nostra educatrice perinatale dello sportello “Fiocchi in Ospedale” al Cardarelli: “Ho conosciuto telefonicamente Claudia, neomamma di Alice, nata in piena emergenza coronavirus. Nonostante la meravigliosa esperienza del diventare madre, Claudia ha vissuto in solitudine questo momento, sia in ospedale che al suo rientro a casa. Durante il travaglio le è stata negata la presenza del marito e della propria madre. Una volta tornata a casa le sue difficoltà nella gestione dell’allattamento al seno e nella cura della sua bimba si sono sommate alla solitudine di questi giorni di quarantena. Il marito cerca di occuparsi come può della casa e dei pasti, ma non sa come aiutarla con la neonata. Al telefono Claudia mi ha fatto varie domande sull’allattamento, sulla cura del moncone ombelicale, sul sonno. Ho risposto dandole tutte le informazioni del caso, con tanto di foto e video-tutorial. Soltanto dopo questo primo scambio Claudia è riuscita a parlarmi di come si sente, della sua solitudine e, soprattutto, del dispiacere di non poter condividere questo momento con i suoi affetti familiari”.

La gravidanza e il parto sono una fase molto delicata nella vita di una donna, in cui l’accesso a servizi socio-sanitari efficienti, tempestivi e accoglienti può fare la differenza e avere un impatto positivo non solo sulla salute della donna, ma anche su quella del nascituro. Garantire questi servizi, anche e soprattutto alle fasce più vulnerabili, è compito del sistema di welfare; un sistema che, oggi più che mai, non può che essere “misto” e prevedere una stretta collaborazione tra servizi pubblici e terzo settore, per non lasciare davvero indietro nessuno.