Classi riaperte, chi risponde all’appello?

22 Gennaio 2021

Di solito le ore mattutine sono quelle più tranquille al nostro Centro Educativo nel Rione Sanità. Le educatrici e gli educatori le dedicano a programmare le attività da proporre ai bambini e ai ragazzi nel pomeriggio, a procurare i materiali per i laboratori, a confrontarsi su ogni bambino per capire come supportarlo al meglio. Il Covid-19, tra le tante cose, ha stravolto anche questa routine.

Dopo una primavera e un’estate in cui i locali del centro educativo sono rimasti vuoti di voci e movimenti, a ottobre abbiamo provato a convertire questo spazio in una sorta di classe strana e variegata, aprendo tutte le mattine per offrire ai bambini dai 6 ai 12 anni un supporto quotidiano nel seguire le lezioni a distanza, e alle loro famiglie un accompagnamento nel difficile ruolo di mediatori educativi a cui la didattica a distanza li ha chiamati sin dai primi giorni di lockdown.

Sì, perché ancora oggi moltissimi bambini non sono tornati in classe, in nessuna forma. Una situazione che va avanti dai primi di marzo, con molte differenze tra regioni e comuni determinate solo in parte dai dati relativi al contagio e più spesso da scelte politiche. Quasi un anno, quindi, in cui non è stata più la scuola a scandire il ritmo delle giornate, a regolare il momento dedicato al riposo e quello dedicato allo studio e persino i pasti quotidiani. Un anno in cui si sono create discontinuità, crepe, lacune o vere e proprie voragini nei percorsi di apprendimento e crescita di bambini e adolescenti che in molti casi difficilmente potranno essere recuperati.

Ciascuna fascia di età ha presentato e presenta problemi e indicatori di sofferenza specifici: i più piccoli hanno disimparato a stare in classe e hanno accumulato gravissime lacune nelle competenze di base, quelle a cui sono dedicati gli anni delle scuole elementari e che dovrebbero costituire le fondamenta di ogni percorso formativo futuro; i più grandi, oltre ai problemi relativi a una formazione frammentata, patiscono moltissimo la lontananza dei loro amici e compagni di classe e l’impossibilità di vivere spazi autonomi rispetto a quelli condivisi con gli adulti, e manifestano segnali di disagio psicologico che vanno dalla preoccupazione e l’inquietudine a vere e proprie forme depressive.

In contesti di disagio socio-economico e marginalità tutto questo esplode, o implode, e a farne le spese saranno bambini e ragazzi per i quali il rischio di isolamento e dispersione era già prima molto alto.  A loro ci siamo dedicati in questi mesi, accogliendoli ogni giorni tra i banchi della nostra classe speciale, in cui abbiamo cercato di restituire, in tutta sicurezza, quella dimensione di spazio condiviso che è anche esperienza condivisa e che rende qualsiasi versione “virtuale”, per quanto ben costruita e – in questi mesi soprattutto – preziosissima, comunque un surrogato. Li abbiamo affiancati nella didattica a distanza, offrendo loro un banco e un dispositivo elettronico connesso e il supporto di educatori che hanno fatto da ponte tra loro e gli insegnanti. Abbiamo proposto ai più grandicelli attività laboratoriali pomeridiane(tra cui un laboratorio fotografico condotto dai fotografi Mohamed Keita e Claudio Menna). Abbiamo seguito uno per uno adolescenti che hanno rischiato e rischiano ogni giorno di allontanarsi talmente tanto dalla scuola da arrivare a non concepirla più nel loro orizzonte.

Nei prossimi giorni forse le classi di riapriranno in tutta Italia, non sappiamo ancora bene in che condizioni e per quanto tempo. Ma soprattutto, non sappiamo ancora bene quanti saranno i banchi che resteranno vuoti, le mani che non si alzeranno per rispondere all’appello. Quello che sappiamo è che nei prossimi anni il nostro paese sarà obbligato ad affrontare le conseguenze di questo enorme buco nero, e per farlo sarà necessario prima di tutto ascoltare per capire. Ascoltare per primi loro, i bambini, le bambine e gli adolescenti, e poi chi in questi mesi è stato loro accanto, a partire dalle famiglie, ma anche le scuole e le tantissime realtà del terzo settore che hanno cercato di colmare quei vuoti e aiutarli a resistere a un’impossibile quotidianità senza scuola.

E’ questo il nostro auspicio. Lo lanciamo oggi, nella data che dal 2020 è stata proclamata dalle Nazioni Unite la Giornata internazionale per l’Educazione, il tema che a nostro avviso sarà obbligatorio mettere al centro dell’iniziativa sociale, politica, economica e culturale degli anni a venire.