donna nigeriana

L’esperienza del progetto “L’Alveare”: risultati e riflessioni dopo un anno di lavoro

7 Gennaio 2019

Lo scorso 31 dicembre si è concluso il progetto L’Alveare, un sistema comunitario di presa in carico integrata, protezione socio-sanitaria ed educativa a misura di mamma e bambino nei primi anni di vita realizzato a Napoli grazie al contributo della Tavola Valdese. Il progetto nasceva con l’obiettivo di favorire la crescita sana ed equilibrata dei bambini esposti alla vulnerabilità economica e sociale rafforzando un sistema di presa in carico precoce, integrata e multidimensionale dei nuclei familiari più fragili. Grazie al progetto sono state sostenute circa 500 donne in gravidanza; sono stati presi in carico più di 100 nuclei familiari con piani di lavoro integrati e personalizzati; sono stati distribuiti 908,8 kg di latte in formula alle mamme impossibilitate per ragioni mediche ad allattare al seno i propri piccoli.

Particolarmente importanti e funzionali sono state le attività di accompagnamento alla nascita e di sostegno ai primi compiti genitoriali attivate nell’ambito del progetto. La presenza di un’equipe multidisciplinare – psicologa, assistente sociale, educatrice perinatale e ostetrica – ha permesso alle donne coinvolte nel progetto di sentirsi accolte e a proprio agio, di lasciarsi andare e porre domande, raccontarsi, chiedere aiuto. Un contesto in cui le donne hanno compreso a pieno la finalità non prettamente “medica” degli incontri proposti, ma diretta piuttosto ad un accompagnamento emotivo e relazionale della loro gravidanza.

Volendo fare un bilancio complessivo degli incontri realizzati – ci racconta la psicologa Arianna Russo, coordinatrice del progetto – questi risultati, utili e coinvolgenti per le mamme, sono frutto dell’utilizzo della lingua inglese, dell’uso di strumenti perlopiù visuali (foto e video), di tecniche esperienziali (rilassamento e massaggio) e del coinvolgimento ove possibile di mediatori culturali. Questi aspetti hanno favorito, incontro dopo incontro, la creazione di un clima familiare e la diffusione di una fiducia di base nel gruppo, operatrici comprese. Tale impostazione ha permesso di offrire molto più di un mero corso di accompagnamento alla nascita, che di solito prevede la condivisione di nozioni più o meno tecniche che permettano alle future mamme di conoscere gli aspetti più legati all’ambito medico che maggiormente possono preoccuparle. Alle donne coinvolte nel progetto è stato infatti offerto anche uno spazio, un luogo e un tempo nel quale pensare a se stesse come donne, al proprio corpo in cambiamento, ma anche a se stesse come madri migranti in una dimensione sconosciuta e lontana dai propri affetti”

Il progetto ha visto il coinvolgimento di attori importanti a livello territoriale: AIED, ACP e Associazione Nefesh onlus, ma anche Centri di accoglienza straordinaria, servizi sociali territoriali e altri enti del terzo settore, una rete integrata a cui va il merito del successo dei risultati conseguiti. I risultati di fatto confermano la tesi a supporto dell’impianto metodologico del progetto: solo un lavoro integrato tra i servizi può avere un impatto efficace e duraturo sul territorio.

Concludiamo con la storia di J., che abbiamo scelto tra le tante che hanno attraversato “L’Alveare” in questi dodici mesi e che fa emergere a nostro avviso la portata dell’impatto di una presa in carico integrata e precoce che ponga al centro la donna in una fase di grandi trasformazioni quale può essere la gravidanza. Ce la racconta una delle operatrici del progetto.

J. è una donna nigeriana di circa 29 anni, inviata da una cooperativa sociale che collabora da tempo con Pianoterra. J è al quinto mese di gravidanza, perciò decidiamo di includerla nel gruppo di accompagnamento alla nascita e sostegno ai primi compiti genitoriali, per prepararla al meglio all’esperienza del parto e alla nascita del suo primogenito.

Poco sappiamo ancora ora del passato e del presente di J., ma lavorando a stretto contatto con l’operatrice della casa famiglia dove vive riusciamo a raccogliere alcune informazioni sul perché si trova lì. J. rientra in un programma di protezione per vittime di tratta e che sta facendo un percorso di sostegno con la psicologa della casa di accoglienza.

La partecipazione di J. al gruppo è da subito connotata da stati di umore e comportamenti contrastanti: le capita di essere allegra, partecipativa e volenterosa di ascoltare e ricevere consigli, così come scontrosa, negativa, cupa. Ciò accade sia nei confronti delle operatrici di Pianoterra che con le mamme partecipanti al gruppo; J. si adombra anche quando non le si rivolge l’attenzione che desidera, quando, implicitamente, le viene richiesto di “decentrarsi” per fare spazio ad altre donne. Accoglie con piacere attività pratiche ed è disposta ad affrontare tematiche legate al parto e alla cura del bambino, ma si chiude a riccio quando qualcuna affronta episodi del proprio passato o della situazione attuale con il compagno/marito. Decidiamo di rispettare il suo silenzio, certi che questo atteggiamento avrebbe favorito la costruzione di un legame di fiducia con la donna.

I pochi mesi che mancano al parto passano presto, e J. partorisce il suo piccolo con taglio cesareo. Dopo il parto andiamo a trovarla in ospedale dove, insieme alla nostra educatrice perinatale e in collaborazione con le ostetriche del reparto, le stiamo accanto mentre prova per la prima volta ad allattare il suo bambino al seno. J. sembra contenta e sembra apprezzare la presenza (non soltanto fisica) e la disponibilità di tutti. Al rientro a casa, J. riprende a frequentare le attività dell’associazione portando il suo bambino. Stavolta si mostra più partecipativa, più propositiva, avvia relazioni di fiducia anche con le altre partecipanti, frequentandole anche al di fuori dell’Associazione.

Su segnalazione di un altro ente e in accordo con le operatrici della casa di accoglienza che la ospita, J. partecipa a un corso di formazione per assistenti familiari che le darà la possibilità di cominciare, a conclusione della parte teorica, uno stage presso un centro di riabilitazione nella provincia di Napoli. Mentre questo stage sta volgendo al termine, J. viene a trovarci: si dice molto preoccupata per il suo futuro, dal momento che presto dovrà lasciare la casa di accoglienza dove vive da circa un anno e mezzo. La rete di associazioni che l’hanno supportata nei mesi trascorsi, e che continua a essere per lei un importante punto di riferimento, raccoglie la sua richiesta e si mette in moto, riuscendo a mettere J. in contatto con un’anziana signora che ha bisogno di un’assistente familiare ed è disposta a ospitarla assieme al figlio.